Riecco, dopo le trombe di inglesi, francesi e spagnoli, i rintocchi delle nostre campane, le omelie dei nostri parroci. In attesa che la giustizia faccia il suo corso, la Juventus di Cremona mi è sembrata la solita donna un po’ pia e un po’ birbante che da un lato raccomanda l’anima a qualcosa (per esempio, al fischietto generoso di Ayroldi che ha «invalidato» il gol di Dessers; ai pali di Dessers e di Afena-Gyan) e, dall’altro, strizza l’occhio a qualcuno: a Milik. Fin al 91’ il peggiore in campo e d’improvviso, per una punizione in buca d’angolo, l’hombre del partido.
Mettetevi nelle tasche di Allegri. Sette milioni e mezzo (netti) all’anno, un casino societario che, come la nebbia padana, si taglia col coltello e un’infermeria che tra pubalgie canaglie, pance piene, «fatture» sballate, sembra il Louvre, tante sono le teste (di) che espone. Il braccino corto diventa, a questo punto, motivo di sfottò. Non hanno mai vinto, i peones di Alvini. Palla lunga e pedalare. Ci sta, quando hai Okereke davanti e solo quantità dietro. Avrebbero meritato il pareggio, ma già sento dal loggione insulti e, nella migliore delle ipotesi, singulti.
Madama ha sventolato Soulé (2003), Miretti (idem) e Fagioli (2001): non proprio la meglio gioventù, a essere pignoli, ma una gioventù che si agita e agita. L’argentino conosce un solo giochino (da destra al centro, dribbling, sinistro), ma gli riesce due volte e in entrambi i casi non spaventa il portiere (che, viceversa, si lascerà spaventare dal polacco). Miretti ci prova lontano, come Kostic.
I ritmi sono randagi, i morsi e i graffi vanno e vengono, la Cremo non molla, la Juventus chiede un calcio a piedi che solo il miglior Pep e il miglior Jurgen potrebbero confessare e convertire, forse.
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